Se hai un figlio dislessico ti avranno sicuramente detto che ha un’intelligenza superiore alla media e… in buona parte dei casi hanno ragione.
Il problema però è che molti confondono l’intelligenza con il Q.I. (Quoziente Intellettivo) che invece, molto spesso, non è necessariamente alto in un ragazzo con un DSA.
È anche vero che sotto una certa soglia non si parla di DSA, ma lascio parlare i numeri.
Questi sono i diversi gradi di ritardo mentale:
- gravissimo (1-2%), QI inferiore 20-25
- grave (3-4%), QI da 20-25 a 35-40
- moderato (10%), QI da 35-40 a 50-55
- lieve (85% dei casi), QI da 50-55 a 70
Sotto gli 80 non si fa diagnosi di DSA, ma si presume che le difficoltà siano dovute ad un funzionamento cognitivo limite (dai 70 agli 80 appunto). Ma non ti voglio appesantire con altri numeri.
Cosa significa tutto questo? Che sotto 80 di Q.I. non si parla di DSA.
A cosa serve in questo caso il Q.I.?
Nel calcolo del Q.I. si tiene conto di alcuni parametri chiave, uno dei quali esce quasi sempre deficitario in un dsa che è il suo rapporto con le parole, con la parte linguistica dell’intelligenza.
Questo serve poi a strutturare dei percorsi di potenziamento che possano funzionare bene, ma non basta quello.
Ma appunto, cosa valuta il Q.I.?
Valuta solo una parte dell’intelligenza di una persona, anzi 4 macro aree (lo semplifico):
- Comprensione verbale
- ragionamento visuo percettivo
- memoria di lavoro
- velocità di elaborazione.
Tutti e 4 questi indici danno la misura del Q.I. che si legge nelle diagnosi.
Ed ecco semplicemente perché nelle relazioni di un DSA difficilmente si troverà un Q.I. medio alto, solitamente anzi si aggira intorno ad un valore mediocre tipo 85, in quanto i parametri oggettivi con cui viene calcolato sono limitati e penalizzanti per chi come i DSA ha competenze diverse.
Che il Q.I. sia un concetto sorpassato per dire se una persona è intelligente è ormai assodato.
È stato innovativo e rivoluzionario ma si è poi rivelato inadeguato essendo basato su parametri che tagliano fuori una grossa fetta di popolazione intelligente (ad esempio i dislessici), ma con difficoltà nell’area del linguaggio o di memoria dovuta ad un deficit di attenzione ad esempio, e attribuendo invece grosse competenze a chi possiede grande memoria magari fine a se stessa.
L’intelligenza andrebbe valutata ovviamente con un parametro meno restrittivo e contenente aspetti più ampi, secondo il concetto che intelligenza è comunicare, perseverare negli obiettivi, pianificare, emozioni ed empatia (aspetti di cui i DSA sono spesso ricolmi).
Purtroppo però quando un genitore deve fare i conti con i risultati negativi del figlio iniziano a farsi strada dentro di lui dubbi e paure.
Mai sentito qualcosa del genere?
“Si vede che non è portato per lo studio”. “Alle medie lo bocceranno sicuramente.”“Sarà meglio scegliere una scuola facile per lui”. “Se continua così, sarà meglio che vada a lavorare il prima possibile”.
È come se nella vita esistessero solo due alternative possibili: quella del successo, a cui sono destinati i ragazzi che si impegnano e vanno bene a scuola, e quella che dall’insuccesso scolastico, che conduce inevitabilmente verso una vita insoddisfacente.
MA Q.I. ED INTELLIGENZA ALLORA?
Ora te lo spiego, ma manca un pezzetto prima…
Tuo figlio si fida ciecamente del tuo giudizio perché è su di te che ha sempre potuto fare affidamento e farà di tutto per non deludere le tue aspettative.
In psicologia questo fenomeno è detto effetto Pigmalioneo profezia che si auto-avvera.
Pigmalione, secondo il mito tramandato dal poeta latino Ovidio, era uno scultore che, dopo aver rappresentato il suo ideale di femminilità e di bellezza in una statua d’avorio, se ne innamorò. Venere, la dea della bellezza, esaudì il desiderio di Pigmalione, dando vita alla statua e trasformandola in Galatea.La statua di Pigmalione prese vita nella mente dello scultore ancor prima che nella realtà.
Allo stesso modo pensieri, aspettative, giudizi o pregiudizi che spesso gli adulti (insegnanti o genitori) hanno nei confronti dei ragazzi influenzano il loro comportamento e quindi i loro risultati, sia in positivo che in negativo.
L’effetto Pigmalione è diventato famoso anche come effetto Rosenthal, dal nome del ricercatore americano che l’ha descritto per primo. Negli anni ’60, presso l’università di Harvard, un’equipe da lui guidata ideò un esperimento molto affascinante nel campo dell’apprendimento, sottoponendo un gruppo di alunni della Oak School, ad un test per valutarne il Quoziente Intellettivo.
Raccolse i dati e in un secondo momento selezionò, in modo casuale e senza rispettare l’esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini, informando gli insegnanti che si trattava di alunni estremamente intelligenti.
A distanza di un anno ritornò nella scuola e verificò che gli alunni da lui selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato a pieno le sue “previsioni”, migliorando notevolmente il loro rendimento scolastico, fino a divenire i migliori della classe.
Gli insegnanti indicarono che, globalmente, questi bambini (che, ricordiamo, erano stati scelti a caso) avevano fatto più progressi rispetto agli altri, e parevano certi che il loro sviluppo cognitivo fosse progredito in misura significativamente maggiore. Questa differenza, ovviamente, esisteva soltanto nella loro mente. Molti ringraziarono perfino il ricercatore per averli aiutati a capire come valorizzare al meglio i loro studenti…
COSA CI INSEGNA QUESTO ESPERIMENTO?
Con l’esperimento alla Oak School, Robert Rosenthal riuscì in pochissimo tempo a far capire che, indipendentemente dai risultati ottenuti con le valutazioni del Q.I., il prendersi cura di un ragazzo, convinti che possa riuscire, fa la differenza nel processo di apprendimento.
Purtroppo, lo stesso risultato si può ottenere anche in negativo. Quindi, quando insegnanti o genitori credono che un bambino o un ragazzo sia meno dotato, tendono a trattarlo, anche inconsapevolmente, in modo diverso dagli altri, influenzandolo e facendo in modo che un po’ alla volta inizi a comportarsi secondo le loro aspettative.
Se i miei genitori pensano che io non sia in grado di fare una cosa, probabilmente non proverò nemmeno a farla. Se mi diranno che non sono capace o portato per un’attività o una materia, finirò per crederci davvero.
Ti ricorda qualcosa?
Si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino diventerà proprio come l’insegnante o i suoi genitori lo avevano immaginato.
Potendo scegliere, meglio allora fare il possibile per creare un ambiente e uno scenario positivo.
Significa che facendo così magicamente spariranno i problemi? Certo che no, ma creare e vivere un ambiente che funziona davvero è un passo fondamentale per far crescere le abilità di un ragazzo.
Quale errore devi evitare? Confondere la prestazione scolastica con l’intelligenza.
Hai idea di quanti ragazzi molto intelligenti che fanno fatica a scuola?
L’intelligenza non è solo quella misurabile alla wisc ma è una realtà con molte più variabili che deve tenere in considerazione anche l’intelligenza emotiva.
(Peccato che da noi in Italia non si misura quasi mai).
Ora istruzioni per l’uso: non voglio sentire dire che il Q.I. non serve a nulla, è utilissimo soprattutto in una prima fase per capire cosa fare per un ragazzo.
Poi c’è molto altro, ma per approfondimenti ti lascio al nostro libro W LA DISLESSIA!
Buono studio e a presto!
Alessandro Rocco