Ultimamente sono un po’ stanca di vedere, leggendo cosa succede nei vari gruppi su facebook dedicati alla dislessia o cosa scrivono molte persone nelle loro bacheche, che si parla di difficoltà di apprendimento senza però aver davvero chiaro di cosa si sta parlando.
Mamme disperate, che cercano risposte, che arrivano per carità, ma sono assolutamente parziali.
Vedo costantemente frasi come “adesso finalmente la scuola farà il PDP”, “quest’anno partirò agguerrita per far rispettare il piano educativo”, “se non fanno quello che hanno scritto, se la vedranno con me”, e così via.
Il piano didattico è un supporto che serve più che altro alla scuola per riuscire a tirare fuori il meglio dal ragazzo (anche se questa è una bella favola, puoi leggere qui in realtà cosa spesso succede: https://www.wladislessia.com/adhd-e-piano-didattico-personalizzato-la-trappola-delle-buone-intenzioni/).
Ma a chi vengono dati in mano quegli strumenti? Al ragazzo! E non può bastare se non si fa un grande lavoro sulla persona.
Ovvio che c’è ANCHE la parte tecnica di lavoro da fare, ma… si perde di vista quale sia l’obiettivo reale.
Prima di focalizzarci sui vari metodi suggeriti dal Piano Didattico Personalizzato, tuttavia, è obbligatorio soffermarsi su che cosa comporti, al contrario, il mancato sviluppo per i ragazzi con DSA di una capacità di resilienza. Ma cos’è questa resilienza di cui si sente tanto parlare?
ll termine “resilienza” in origine proveniva dalla metallurgia: indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. Etimologicamente “resilienza” viene fatta derivare dal latino “resalio”, ovvero saltare su una barca in cerca di salvezza.
In poche parole la persone resiliente è quella che non si abbatte, nonostante le difficoltà e anzi trova strade alternative per riuscire.
Un ambiente che funziona come si deve permette ad un ragazzo dislessico di trovare risorse in maniera più semplice ed efficace.
Vi abbiamo detto moltissime altre volte che le difficoltà di apprendimento, o per meglio dire, il modo in cui queste sono trattate, possono far emergere disagi sensibili per ragazzi, in particolare lo sviluppo dell’ansia e, a volte, stati di depressione.
Per capire meglio cosa intendo leggi la storia di questo papà:
“Mio figlio spesso la notte non dormiva, aveva continui problemi di stomaco, ansia e così via. Ad un certo punto abbiamo deciso di sottoporlo ad una lunga serie di esami fra cui anche l’elettroencefalogramma con il risultato che non c’era niente di patologico. Chissà perché poi stava male da settembre a giugno e i restanti mesi non c’era nulla di questi sintomi. Una volta affrontato il problema e fatto capire al ragazzo di cosa si trattava, sono cessati tutti i disturbi fisici.”
La prima considerazione che mi viene in mente è questa: ma ti sembra normale che un ragazzo debba vivere in un modo così emotivamente “violento” il suo rapporto con la scuola?
No cavolo! Non va bene per nulla.
E non hai idea di quanti ragazzi ho incontrato in questi anni che avessero emicranie, mal di pancia e dolori vari alla sola idea di affrontare la scuola o l’insegnante.
Oppure potrei parlarti di altri ragazzi che parlano della vergogna provata di fronte ai compagni che li prendono per il cu*o per le loro difficoltà, ad esempio, nella lettura o nel calcolo.
A questo proposito mi viene da dire: ma dove diavolo sono gli insegnanti quando succedono queste cose? Dove guardano?
Per non parlare anche dei casi in cui sono gli stessi professori a non comprendere che cosa sono i DSA e a prenderli in giro.
Poi ci sono anche quelli che, quando sono informati delle difficoltà incontrate dai ragazzi, si ostinano a negare il problema, continuando a ripetere alla nausea “il ragazzo è svogliato, dovrebbe solo impegnarsi di più”.
Il brutto poi è che ci sono genitori che ci credono e si mettono a massacrare di esercizi i figli! Grande idea direi:
mio figlio sta male all’idea di leggere ed io per “aiutarlo” lo faccio leggere almeno un’ora tutti i giorni così si tiene in esercizio.
Così non favorisci la resilienza, così favorisci il rifiuto! Ricordalo.
Con questi approcci decisamente errati la capacità di resilienza dei bambini viene sistematicamente demolita, portando all’insorgenza, come precedentemente accennato, di disturbi emotivi e relazionali.
Ecco perché DIPENDE DA TE! Dipende da te e dall’ambiente che crei a casa e attorno a lui, questo contribuirà a far emergere il talento all’interno della difficoltà.
In questi anni la maggior parte del mio lavoro è stata dedicata a costruire assieme alle famiglie ed ai ragazzi un ambiente che fosse il più solido possibile. Tutto il progetto W LA DISLESSIA!™ va in questa direzione, altrimenti sarebbe come costruire una casa senza fondamenta.
Ben vengano i PDP e tutte gli strumenti compensativi, ma devono essere applicati in una condizione di stabilità emotiva, altrimenti possono addirittura diventare controproducenti.
Albert Bandura, psicologo canadese famoso per i suoi studi sull’apprendimento sociale, dice chiaramente che il primo motore per permettere ad un ragazzo di riuscire è il suo SENSO DI AUTOEFFICACIA.
“L’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha sulle proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione. In particolare, secondo Bandura, il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati.”
Ad esempio se l’autoefficacia è bassa la persona ritiene che le proprie azioni raramente ottengano i risultati desiderati. Chiaramente una persona con bassa autoefficacia sarà portata a scegliere obiettivi più limitati e a impegnarsi di meno per raggiungerli e, a parità di complessità del compito, proverà maggiore stress.
Quindi in parole semplici, attraverso i messaggi che diamo ai ragazzi, loro cominciano a costruirsi delle convinzioni con le quali decideranno di essere in grado di fare qualcosa (o di non esserlo ahimè).
Ma allora come fa mio figlio a costruirsi la propria autoefficacia?
Lo fa soprattutto attraverso:
- esperienze dirette (di cui ti parlerò nelle prossime righe);
- osservazione delle esperienze di altre persone;
- frasi sentite da altri, che hanno l’effetto di generare convinzioni (su questo dovete essere tanto attenti voi! “Sei stupido”, “Ma come puoi non capire”, “Dai che è facile!”…);
- La FAMIGLIA.
Le esperienze dirette, in particolare, sono quelle vissute in prima persona dal ragazzo e sono i successi, gli insuccessi e gli ostacoli che ha incontrato durante la crescita. Un successo ottenuto, anche dopo enormi sforzi e dopo aver superato grandissime difficoltà, porta sempre al consolidamento della propria autoefficacia.
Attenzione! Vale anche per le “sconfitte” da cui si è imparato qualcosa.
E’ ovvio che quando si è convinti di avere tutte le caratteristiche per poter riuscire, l’impegno che tuo figlio metterà nelle sue attività sarà maggiore.
Invece, tipicamente, per un ragazzo con difficoltà di apprendimento, l’autoefficacia sarà bassissima se ci sono insuccessi nonostante un grandissimo impegno (spesso accompagnati ad umiliazioni, leggi qui la mia storia: https://www.wladislessia.com/i-6-trucchi-per-evitare-che-tuo-figlio-detesti-leggere/).
La conseguenza è che spesso tuo figlio potrà rinchiudersi in se stesso (diventare quasi invisibile, a costo di essere considerato “poco partecipativo e attento”), oppure potrà mettere in atto un comportamento contrario e diventare litigioso o polemico (ti dirà facilmente “non mi va”, ma ricorda che lo sta facendo perché in realtà sta evitando di sottoporsi a una prova che lui è convinto di non essere in grado di superare).
A questo punto diventa un vero casino, soprattutto se tuo figlio inizierà a mettersi in paragone con l’esterno o se tu stesso lo fai con frasi tipo “vedi tuo fratello che bravo?” o altre genialità simili (ne parla Alessandro in questo divertente video: https://youtu.be/AmW6HAMA_RY).
Quindi cosa fare? Prima di tutto fare in modo che l’ambiente di casa sia il più potenziante possibile.
Segui questi punti in cui ti spiego come:
- COMPRENSIONE DELLO STATO D’ANIMO DELLA PERSONA: non puoi in nessun modo aiutare tuo figlio se non comprendi come si sta sentendo in quel preciso momento (a dire il vero anche se non comprendi come ti senti tu);
- NON MINIMIZZARE LA DIFFICOLTA’: fare ironia o sminuire tuo figlio quando fa fatica a leggere, giusto per fare un esempio, contribuirà ad affossare la sua idea di se;
- RINFORZO POSITIVO: sorprendi tuo figlio e fagli notare ogni volta in cui fa qualcosa di buono. Spesso il dislessico non si accorge dei risultati che ottiene o delle cose che riesce a fare, anche le piccole cose, il tuo compito è aiutarlo a notarli (chiaramente se ha 10 anni non festeggiarlo perché si lava i denti da solo…);
- FAGLI VIVERE ESPERIENZE DI SUCCESSO: l’aspetto fondamentale del mio lavoro è proprio aiutare i ragazzi ad ottenere risultati in cose in cui loro stanno bene (il gioco per esempio, lo sport, gli hobbies o altre attività extra scolastiche). Più si accorgono di riuscire e più possiamo costruire un lavoro sulla difficoltà. In poche parole la RESILIENZA!
A questo punto puoi scegliere se lamentarti di una scuola che non funziona e della sfortuna che vi è capitata, oppure cercare di fare qualcosa per cambiare le cose (in meglio per te e per tuo figlio).
L’errore più grande che puoi fare è quello di dare la responsabilità alla scuola di “risolverti il problema”, ecco perché sempre più spesso ci senti dire: DIPENDE DA TE!
“Il compito di un bambino, supportato dalla cooperazione di genitori attenti e responsabili, è sviluppare l’abitudine a non darsi per vinto di fronte a sfide e ostacoli.” – P. Trabucchi
Alla prossima puntata!