PERCHE’ L’UGUAGLIANZA E’ LA COSA PEGGIORE CHE PUOI INSEGNARE A TUO FIGLIO

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Stamattina sono stata in una scuola.

Lo so, non dovrei andarci… ma cosa vuoi, alla fine tutti almeno una volta nella vita abbiamo comprato un biglietto della lotteria di Capodanno, anche se sapevamo benissimo che non avremmo mai vinto. E’ il brivido della scommessa.

Comunque, mentre ero lì che aspettavo la preside, mi hanno accompagnato in un’aula che era una via di mezzo tra una sala professori e un laboratorio di scienze: vecchi banchi malandati, armadietti per gli insegnanti, una libreria che Edmondo De Amicis sarebbe sembrato un rivoluzionario. E un bancone, con un lavello e delle strane attrezzature in disuso.

Nel bel mezzo del bancone, una grossa scatola di cartone con una scritta fatta con l’indelebile: “materiale vecchio e obsoleto”. Che meraviglia, ho pensato. Come può una semplice scatola di cartone rappresentare in modo così preciso quello che si incontra qui dentro.

Per un attimo mi sono vista uscire dalla scatola tutti gli insegnanti che incontro di continuo da 15 anni a questa parte, poi mi sono accorta che non bastava; la scatola ha preso il sopravvento ed è diventata grande come tutta la scuola: un gigantesco edificio di cartone dove tutto ciò che si incontra è materiale vecchio è obsoleto.

Ovviamente, mentre facevo tutto ciò, non serve che vi dica che la preside era arrivata e aveva iniziato a blaterare su quanto i professori non possano fare altrimenti, perché “cosa vuole, le classi sono così numerose e non abbiamo fondi, e i ragazzi si devono adattare, non si può mica pensare a un insegnamento diverso per tutti e poi in fondo non sarebbe giusto fare differenze e bla bla bla”.

L’ultimo punto, però, ha destato la mia attenzione. E non tanto per quello che ha detto la preside – che, ti assicuro, se potessimo registrare e confrontare sarebbe tale e quale a quello che sento dire ogni volta – ma per l’idea che c’è dietro.

Questa fissazione che ha la scuola italiana – e non solo la scuola – per l’uguaglianza: perché uguale, secondo qualche insano principio, dovrebbe significare equo.

E allora siamo tutti qui a scendere in piazza e a fare battaglie perché vengano fatti i PDP, perché i ragazzi abbiano l’uso degli strumenti compensativi e dispensativi, perché così possono riuscire come gli altri, venire trattati come gli altri, sentirsi come gli altri.

DIDATTICA INCLUSIVA, la chiamano.

Ma siamo davvero sicuri che sia la cosa migliore?

Gli diamo le verifiche più brevi, ma con gli stessi contenuti degli altri; più tempo per l’esecuzione, perché così può finirla come gli altri, il computer perché così è autonomo (leggi: non crea problemi all’insegnante), visto che non legge e scrive bene come gli altri.

Ma gli altri CHI?

E, soprattutto, CHI L’HA DETTO che io voglio che mio figlio – dislessico – sia uguale agli altri?

E se invece gli venisse data la possibilità di fare le cose in modo DIVERSO? Meno testi inutili, più ricerche multimediali, poche verifiche scritte, più laboratori, più spazio alla creatività e all’innovazione e, perché no, specializzarsi in materie DIVERSE dagli altri?

Mentre cerco una risposta a queste domande, la preside abbandona per un attimo il suo monologo shakespeariano per dirmi che – insomma – loro ce la mettono tutta, ma il ragazzo rifiuta le verifiche “semplificate” (come le chiama lei). Perché si vergogna.

“Perché?”

“Perché i compagni lo prendono in giro, dicono che è stupido perché fa le cose diverse dagli altri.”

“E gli insegnanti?”

“Cosa vuole, non è che si possa far molto, in fondo è lui che dovrà imparare a difendersi, ci si dovrà abituare.”

Cosa?!?!

No, sono troppi anni che faccio questo lavoro per pensare di aver sentito male.

Ora: parliamo di una scuola media e i compagni in questione non sono certo tutti.

E’ evidente che per essere in grado di gestire un pugnetto di adolescenti ostaggi dei loro ormoni che non hanno di meglio da fare che prendere per i fondelli il compagno, non serva aver fatto addestramento nella marina militare… Evidentemente, il concetto di DIVERSITA’ (e non solo di uguaglianza), non è tra queste.

Come si fa? Prendete W LA DISLESSIA! (a proposito questo il link del nostro gruppo: https://www.facebook.com/groups/721839084626445/)

Questo posto, mi dicono spesso, è un po’ come “l’Isola che non c’è”: qui i ragazzi si rispettano e si sostengono, e qualsiasi genitore che è stato qui ve lo potrà confermare.

Perché?

  • Perché se qualcuno si azzarda a mettere in discussione le possibilità o le capacità degli altri, viene appeso al muro seduta stante e si ritrova a volare fuori dalla finestra: lui, la sua ombra, Peter Pan, Campanellino e tutti i bimbi sperduti.
  • Ma principalmente perché la diversità non sarà mai un problema in un posto dove non si chiede l’uguaglianza. C’è poco da fare. E’ inutile fare ore di conferenze con specialisti che parlano di leggi, normative, “consensus conference” e bla bla bla, se poi non si lavora concretamente per dar spazio al reale talento di ognuno, per cambiare davvero le cose.

E allora: cos’è che ti spaventa tanto nell’idea che tuo figlio sia DIVERSO?

E’ la sindrome dell’inclusione. Sono i retaggi distorti del catechismo, sono i ricordi rimossi dei bulli nel cortile della scuola. Sono i ragazzi messi tutti insieme in una classe perché hanno la stessa età (e quindi sono uguali?). Sono le lezioni UGUALI PER TUTTI e i compiti UGUALI PER TUTTI e le valutazioni UGUALI PER TUTTI.

Come se la vita, fuori dalle mura della scuola, fosse uguale per tutti!

Non esiste periodo storico con maggiori opportunità del nostro, eppure così pochi riescono ad emergere.

Ti sei mai chiesto perché?

Perché le opportunità ci sono, e ci sono PER TUTTI (almeno in questa parte del mondo).

Ma il talento no.

E neanche la perseveranza, il coraggio, la passione, l’impegno o la dedizione.

E allora, sii onesto: quanta energia impegni per coltivare LA DIVERSITA’ di tuo figlio? Quanto spazio resta tra le ore di analisi logica, i pianti, il disegno tecnico, i compiti a casa, gli esercizi col flauto, le note, i riassunti, i dettati…?

E non dirmi che la risposta è nel PDP o nel Consensus Conference perché, evidentemente, abbiamo sbagliato la domanda.

Quindi che vuoi fare: vuoi continuare a scommettere sulla scuola, a comprare i biglietti della Lotteria di Capodanno pur sapendo che non vincerai mai?

Se la risposta è no, comincia da qui:

  • Vuoi che tuo figlio sia sereno e si accetti per quello che è? INSEGNAGLI AD ESSERE DIVERSO.
  • Vuoi cresca con una mentalità aperta e impari a rispettare gli altri? INSEGNAGLI AD ESSERE DIVERSO.
  • Vuoi che abbia successo – perché no, anche nel lavoro – e che emerga per il suo talento? INSEGNAGLI AD ESSERE DIVERSO.
  • Vuoi che finalmente la scuola faccia le cose in modo diverso? INSEGNA A TUO FIGLIO, PER PRIMO, AD ESSERE DIVERSO.

Perché ormai lo sai DIPENDE DA TE! e non te lo dico solo io, ma tutti i genitori che ci seguono giornalmente nel nostro percorso per genitori W LA DISLESSIA™ A CASA TUA! (scoprilo qui: www.wladislessia.com/acasatua)

Altrimenti piantala di pubblicare su facebook post con le foto di Einstein, Walt Disney, Tom Cruise per poi lamentarti che tuo figlio è lento, è disordinato e non sai come fare a fargli fare i compiti.

E tira via pure il salvaschermo dal cellulare con scritto “Think different, please”, che poi lo usi per stalkerare le altre mamme sui compiti nei gruppi whatsapp; smettila di lamentarti e comincia ad agire in modo diverso.

E se proprio devi scommettere su qualcosa, scommetti su tuo figlio 😉

“Voi ridete di me perché sono diverso, io rido di voi perché siete tutti uguali.” –  Jonathan Davis

Alla prossima!

Paola

 

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