Da un po’ di tempo in rete spopola una notizia incredibile arrivata dal Canada: in una scuola primaria è entrato in classe un banco “particolare”. Una specie di cyclette, con al posto del manubrio un ripiano sul quale poggiare libri, quaderni, penne, matite, ecc. L’obiettivo sarebbe quello di aiutare bambini con Disturbi di Attenzione.
Questo esperimento ha avuto una grande condivisione nei social e sta trovando il consenso di molta parte delle masse, ma prima di parlarne diffusamente, andiamo a capire cos’è l’ADHD (Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività).
Per farlo partiamo da uno dei tanti falsi miti su questa difficoltà, cioè l’idea che L’ADHD può regredire fino a scomparire con la crescita del bambino. Questo è impossibile, prima di tutto perché l’ADHD, come tutte le difficoltà che in qualche modo si legano all’apprendimento, non è una malattia! Non si contagia, non si guarisce, non si cura, non scompare.
Ma allora che cos’è questo disturbo dell’attenzione e che effetti ha?
L’ADHD viene definita come un disturbo evolutivo dell’autocontrollo perché include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività.
Questi problemi derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
Poi la definizione andrebbe avanti e tenderebbe a dire alle famiglie che non c’è nessuna incidenza dei loro comportamenti nei figli, ma io non è propriamente così. É ovvio che qualunque problematica di un figlio è stata più o meno influenzata da comportamenti dei genitori, sfido chiunque a smentire questo fatto.
E non serve avere fatto delle cose particolari, bastano a volte delle semplici frasi dette in un modo che sia stato interpretato male dal bambino per incrementare l’effetto di questo disturbo. Oppure basta un utilizzo esagerato di computer, tablet, cellulari o TV per aumentare vertiginosamente i comportamenti non produttivi.
Questo non significa che con un comportamento più accurato della famiglia sparirà il “problema”, ma di sicuro provvederà a limitarne gli effetti.
Ma attenzione! Un disturbo dell’attenzione o l’iperattività NON NASCONO CON L’USO DELLA TECNOLOGIA!
Il problema è che, come troppo spesso accade, però si cerca la soluzione all’esterno:
tuo figlio è “rotto” e quindi lo devi aggiustare.
E allora la medicina propugna un farmaco fantastico, chiamato Ritalin, che è un neuroinibitore e in poche parole provvede a calmare tuo figlio: si, lo calma! O meglio lo rende un’ameba che non risponde agli stimoli, ma tecnicamente non rompe le palle in classe e quindi va bene! Diciamo che esercita la sua funzione!!
Peccato che poi basta leggere i possibili effetti collaterali per capire che quella roba lì è una droga, né più né meno:
- Ritardo di crescita;
- Ipertensioni;
- Tachicardia;
- Psicosi a contenuto persecutorio (già qui mi verrebbe male);
- Iperattività di rimbalzo (questa è la parte più divertente, perché voglio aiutare mio figlio iperattivo e posso trovarmi come effetto collaterale l’iperattività).
In più, un altro aspetto che mi lascia sconcertato è che questo farmaco viene somministrato fino ai 18 anni, e solo durante il periodo scolastico! Quindi fatemi capire un attimo: una volta raggiunta la maggiore età, per definizione non sono più iperattivo? E ancora: d’estate senza scuola non serve più?
Io starei davvero attento a valutare cosa fare con mio figlio leggendo con attenzione le 10 righe precedenti!
Inoltre, nella nostra esperienza con bambini, abbiamo visto gli effetti di quella medicina nelle capacità di apprendimento e abbiamo deciso di dire alle famiglie che se vogliono lavorare sulla persona, devono togliere quell’agente esterno.
Poi arriva l’ultima innovazione ESTERNA che risolverà ogni problema: LA BICI BANCO!
Devo dirti che onestamente all’inizio ha colpito pure me e mi sembrava anche una cosa interessante.
Mi sono immaginato dei bambini che, ogni tanto, possono fare qualche pedalata per scaricare un po’ di energia e pensavo che potesse veramente essere un qualcosa di illuminante.. Poi, però sono rinsavito, pensando a moltissime altre implicazioni!
Ma ve le immaginate queste bici nelle nostre scuole? Come minimo a un certo punto sarebbe la maestra a dire “Alessandro pedala un po’…” salvo poi rilanciare con un “Alessandro smettila di pedalare perché disturbi Valentina…” e poi arriverebbe Paola a dire “Maestra perché Alessandro pedala e io non posso?…”.
Insomma la vedo un po’ dura da applicare, salvo creare delle classi solo per bambini iperattivi, quindi creare delle etichette che marchieranno a fuoco i bambini per il resto della loro vita.
Ma il motivo reale per cui ritengo poco utile usare questo tipo di risorse è che si cerca sempre di trovare una soluzione ESTERNA a una problematica INTERNA.
Sembra sempre che serva la pillolina magica che risolva la situazione in poco tempo e con il minor dispendio possibile di energia da parte della famiglia.
Quindi non presupponendo che serva anche olio di gomito, impegno e pazienza per relazionarsi con i ragazzi.
Ma allora cosa fare?
Partiamo da questo presupposto: un ragazzo iperattivo trova la maggior parte delle difficoltà in ambito scolastico, dove l’eccessiva vitalità viene costantamente criticata. Un bambino iperattivo incontra numerose difficoltà a stare fermo e, infatti, viene costretto a stare immobile perché altrimenti disturba. Con l’effetto che per contenere la voglia di muoversi, si muove con il cervello e si distrae… Direi che non è una soluzione geniale quindi quell’imposizione!
Ad esempio con i nostri bambini facciamo una cosa molto semplice quando ci accorgiamo che iniziano a faticare a stare fermi: gli chiediamo di darci una mano a fare una fotocopia o, banalmente, ce ne usciamo con una frase del genere “puoi aprire un secondo la finestra?”. L’effetto è che il bambino usa la sua energia, si muove e poi più facilmente può tornare a fare un’attività più lenta, come lo studio ad esempio.
Il punto fondamentale è che serve accompagnare il bambino ad avere consapevolezza del suo modo di fare e, per questo, abbiamo solo una possibilità: ACCETTAZIONE della persona e ASSENZA DI GIUDIZIO.
Quindi, se il bambino ha bisogno di muoversi, non lo riprendo sistematicamente ed evito di farlo sentire sbagliato con frasi come “stai fermo”, “possibile che non stai mai attento”, “non ti accorgi che stai disturbando?”. Allo stesso tempo, se mi accorgo del suo bisogno di muoversi ho due possibilità:
- Mi devo rendere conto che il mio ritmo o l’attività che stiamo facendo sono troppo lenti e quindi sono io a dover cambiare delle cose (ad esempio il tono di voce, la velocità con cui parlo, usare dei disegni per farmi seguire, fargli fare delle cose pratiche);
- Aiuto il bambino a rendersi conto di cosa sta succedendo, anche attraverso delle frasi come “Sei arrabbiato?” o durante un gioco “Ti sei arrabbiato perché hai perso?”. Queste frasi aprono per il bambino una riflessione sui suoi comportamenti.
Nel momento in cui mi rendo conto di quello che succede e sono entrato in relazione con il bambino, allora posso passare allo step successivo, ovvero cominciare a farlo familiarizzare con delle regole certe.
Quindi, quando decidiamo una regola poi deve essere rispettata. Solo con il rispetto delle regole il bambino riuscirà a vivere libero. Chiaramente per stabilire delle regole, è fondamentale che i genitori siano coerenti anche nel rispettare loro stessi delle regole (quante volte ti ho parlato di COERENZA nelle puntate precedenti?).
A questo punto perché tutto funzioni serve avere due caratteristiche fondamentali:
- Pazienza;
- NO ANSIA da TEMPO!
L’orologio e la frenesia dell’ottenere risultati subito non possono che creare confusione e, soprattutto, una salita verticale della tensione per tutta la famiglia.
La frase chiave dovrebbe essere “Rispetto i tuoi tempi!”, quasi come un mantra che mi ripeto ogni momento in testa.
È ovvio che non esiste una bacchetta magica per risolvere magicamente i problemi, ma serve capire che la crescita altro non è che un processo in cui gli inciampi sono all’ordine del giorno. Nel momento in cui acquisisco questa consapevolezza ho fatto il primo passo.
Come puoi notare, ho parlato molto di quello che possono fare i genitori assieme ai figli, diversamente da quello che sovente si crede, ovvero che siano i figli a dover cambiare. Qui non deve cambiare assolutamente nessuno, ma parlo di evoluzione, di crescita di tutto il sistema famiglia!
Chiaro che non voglio banalizzare nulla, il percorso è un percorso impegnativo, ma con il lavoro di tutti i risultati, o meglio la crescita, arrivano!
E come in tutti i viaggi, si parte dal primo passo.
Se poi hai bisogno di saperne di più, beh noi siamo qui.
Anzi il primo passo potrebbe essere leggere il nostro libro, in cui trattiamo anche il tema dei tempi. Puoi acquistare W LA DISLESSIA! cliccando qui:
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Ah dimenticavo.. A scuola in bicicletta? Direi di si: è un ottimo mezzo per fare il tragitto!
“Nessuno è libero se non è padrone di se stesso.” – Epitteto
A presto!