In questo articolo lasciamo la parola a Debora, la nostra esperta di lingue straniere.
Ciao sono Debora, lavoro da anni nello studio delle lingue straniere e quest’estate ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni ragazzi dislessici nello studio dell’Inglese.
L’estate è un periodo di spensieratezza e divertimento per ricaricarsi, e per chi ha saputo sfruttarla al meglio, è stata anche l’occasione di imparare in modo diverso.
A luglio ho tenuto un corso di inglese, non per tormentare i miei ragazzi anche durante le vacanze, ma per cercare di far loro assaporare il piacere di imparare lontano dai libri e dai soliti schemi. La difficoltà di apprendere una nuova lingua accomuna un po’ tutti, e il motivo spesso riguarda l’approccio, basta pensare a come abbiamo appreso la nostra lingua madre: sei anni di suoni, ascoltando prima gli altri, poi provando a ripetere, producendo sillabe e parole molto spesso ricche di buffi sbagli che riempiono di orgoglio i genitori, e solo all’età di sette anni abbiamo iniziato ad imparare il codice scritto, verso i nove a capire che ci sono nomi, verbi, aggettivi e via via tabelle grammaticali ecc.
Insomma prima abbiamo fatto esperienza attiva della lingua e poi ne abbiamo conosciuto le regole e le etichette.
Ferma per strada un qualsiasi studente delle scuole superiori e chiedigli la differenza tra past simple e present perfect, ti spiegherà dettagliatamente quando usare l’uno o l’altro, gli avverbi di tempo da utilizzare, la forma negativa e interrogativa. Ferma lo stesso ragazzo e chiedigli un’informazione in inglese, avrà difficoltà a capire la domanda e a formulare una risposta adeguata. Magari userà una struttura sintattica corretta, il tempo verbale giusto, ma mancherà l’efficacia del messaggio, il contenuto.
Faccio un passo indietro e ti chiedo: a cosa serve una lingua? Per comunicare, scambiare messaggi efficaci. Quando parliamo lo facciamo per interagire con qualcun altro. E allora è più importante farsi capire o sapere a memoria i paradigmi irregolari? Attenzione, non intendo dire che non serva impararli, ma semplicemente che andrebbero contestualizzati, imparati in modo induttivo e solo successivamente schematizzati.
Torniamo al corso di inglese, voglio raccontarti la mia esperienza con un gruppetto che ho accompagnato per un paio di settimane: quattro ragazzi di circa 15 anni, con qualche difficoltà di apprendimento (tutti e 4 dislessici), ma soprattutto con “l’allergia dell’inglese”. Non volevano neppure farlo il corso perché finalmente era finita scuola e potevano dimenticarsi per un po’ di quella orribile lingua che per un dislessico è ancora più difficile essendo opaca (le lettere e i suoni fonetici non coincidono).
Ho un po’ insistito e ne è valsa la pena. L’obiettivo era quello di far tornare in loro il piacere di imparare una lingua straniera, il desiderio di scoprirla, lontano dai libri, dalle tabelle grammaticali, dai dettati, dai test di ascolto e tutte queste atrocità che farebbero odiare l’inglese anche ad un parlante nativo.
Sono state due settimane ricche di giochi, attività divertenti, dialoghi e role-playing dove i ragazzi hanno potuto provare ad esprimersi in inglese a modo loro, cercando di farsi capire, sbagliando e riprovando, ridendo, insomma proprio come abbiamo fatto da piccoli per l’italiano. Nessun pregiudizio, nessuno a correggere l’altro, ciò che più contava era mettersi in gioco, tirar fuori la voce, con la certezza che nessuno avrebbe giudicato, che l’importante era provarci un po’ alla volta. È stata una cosa graduale, staccarsi dagli schemi scolastici non è facile, ma quando hanno iniziato a capire che non avrei corretto loro ogni singola frase, ogni piccolo errore, finalmente si sono buttati. Imbarazzati prima, spavaldi poi, si sono affiatati molto anche tra di loro e hanno imparato attraverso video, canzoni, storie, giochi di parole.
Siamo incappati solo in una piccola difficoltà che ti voglio raccontare. Un giorno abbiamo affrontato il tema del tempo e così ho approfittato per ripassare le ore. Argomento abbastanza difficile visto che gli inglesi hanno un modo di suddividere e leggere l’orologio che è decisamente diverso dal nostro. Ero pronta a questo, pronta a suddividere in due il quadrante (past/to), pronta a far notare che prima si leggono i minuti e poi l’ora, pronta a fargli scoprire tutte queste differenze e a farlo fare a loro così restava più impresso (Confucio diceva: “dimmi e dimentico, mostrami e ricordo, fammi fare e imparo.”). Non ero pronta ad un’altra cosa che mi ha spiazzato quando mi hanno detto
“Non sappiamo leggere l’orologio analogico, solo quello digitale”.
Pensaci.. Ora gli orologi sono sul telefonino, e sono digitali, anche quelli da polso molto spesso sono digitali, stessa cosa alla tv, sul pc, in radio, tutto ha un display. E sembra che pochi lo insegnino a scuola. L’orologio con le lancette è passato di moda, o magari serve solo per abbellire il muro di qualche parete (eppure lo si usa sempre come strumento per imparare l’ora in inglese…)
Credimi, sono favorevole ai cambiamenti e alle innovazioni, ma ci sono cose che è utile continuare ad insegnare, non solo per arricchire il nostro bagaglio culturale, ma anche e soprattutto per capire il vero senso delle cose.
Anche perché se conosci di più, hai più possibilità di scelta e, di conseguenza, sei più libero..
Prendiamo l’orologio, o meglio il concetto di giorno fatto di ore, composte da minuti, scanditi dai secondi, il tempo che passa ad un ritmo preciso. Se lo si spiega così è molto caotico, ma se si inizia a far vedere le lancette, come si muovono, con quale ritmo e direzione, non solo si impara a leggere l’ora ma si inizia a percepire la concezione di tempo che passa, che scorre.
Non è una cosa scontata sapere quanto tempo abbiamo per eseguire un compito, quanto tempo manca per una determinata cosa e, nella nostra società dove il tempo è denaro, credo sia fondamentale averne la percezione in modo da non trovarsi di corsa, con il fiato sul collo, all’ultimo momento per consegnare la verifica, per pagare la bolletta, per aggiudicarsi un’offerta.
Spesso i ragazzi si perdono, consumano o distribuiscono male un sacco di energie e fanno fatica a organizzare il loro tempo.
Insegnare loro a leggere l’orologio analogico credo possa aiutarli a districarsi con il tempo, permettendo loro anche di sfruttare al meglio la loro attenzione e le loro energie, consententendo loro di concedersi spazio per il riposo, per altre cose, per vivere al meglio. Conoscere non per diventare schiavi del tempo ma proprio per essere liberi, per trovare tempo da dedicare a tutto ciò che amiamo.
E così abbiamo guardato l’orologio appeso nella mia stanza delle margherite e uno dei ragazzi si è proposto di ridisegnarlo alla lavagna evidenziando con colori diversi i minuti e i numeri delle ore. Poi abbiamo discusso insieme sul significato delle lancette osservandone le differenze, lunghezza e movimento. Non ho spiegato loro niente, hanno iniziato a fare ipotesi e in pochissimo tempo hanno capito come funzionava, dopodiché a turno uno disegnava le lancette e gli altri indovinavano l’ora.
Da lì il passaggio con l’inglese è stato molto più veloce di quanto immaginassi. Abbiamo colorato la parte (past) destra dell’orologio di un colore e la (to) sinistra di un altro, sui 15 e i 45 minuti abbiamo scritto “a quarter” e sui 30 “half”, qualche esempio per capire che prima in inglese si dicono i minuti e poi l’ora e al commento “è come quando noi diciamo che sono meno dieci alle tre!” era come gli si fosse aperto un mondo, ho visto le loro facce soddisfatte!
Il corso di inglese è stato veramente breve, abbiamo visto pochi argomenti, ma credo che per i ragazzi sia stato fondamentale, al di là di quello che hanno appreso o ripassato. Ciò che più conta è che hanno sperimentato in prima persona l’apprendimento diretto della lingua, hanno capito che possono parlare in inglese e soprattutto che non è una lingua fatta solo di verbi ma che con essa ci si può anche divertire, si può comunicare.
Credo sia stato utile anche per i genitori vedere i propri figli impegnarsi con entusiasmo in qualcosa in cui di solito dovevano supplicarli di studiare, vedere che la lingua straniera non è poi davvero un muro invalicabile.
A volte ti devi semplicemente fermare a riflettere e chiederti perché non sta funzionando.
E, se non sta funzionando, non sei tu che non sei capace, è il metodo che non fa per te! Allora cambialo, rendilo divertente, fallo tuo e imparerai senza accorgertene, proprio come un bambino piccolo.
Enjoy your day!!!
Debora